Possagno (Treviso) – 18 Novembre 2003
In occasione della grande Mostra “CANOVA” nel fervore dei preparativi e dei restauri della Gipsoteca Canoviana di Possagno, mi è sembrato prioritario decidere di intervenire sul Modello in gesso di Paolina Bonaparte come Venere vincitrice che, dal 1918 è rimasto acefalo e mutilato in più parti del corpo: la donna simbolo stesso di bellezza per tutta l’epoca napoleonica, era ridotta, a Possagno, a una sorta di simbolo della distruzione. Grazie alla collaborazione tra il Ministero dei Beni Culturali, la Soprintendenza di Roma, La Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici del Veneto, il Museo di Villa Borghese, la ditta Koinè e il partner vicentino Unocad e il generoso contributo dello sponsor Industrie Cotto Possagno, Paolina Bonaparte, nella Gipsoteca di Possagno, è tornata a sorridere mollemente distesa nel suo regale triclinio. Il restauro, o più propriamente reverse engineering, ha permesso di inaugurare una forma originale e innovativa di intervento sui modelli in gesso: non solo per l’azione di studio, tutela e salvaguardia operata in questa occasione alla Paolina, ma soprattutto per l’innesto reversibile di alcune componenti. L’iniziativa, che ha suscitato (come era prevedibile) fin dal suo avvio una vivace discussione sulla natura stessa dell’intervento, consente di riproporre all’attenzione degli studiosi e del vasto pubblico che visita la Gipsoteca l’immagine della sorella di Napoleone Bonaparte come l’aveva concepita Canova (1804) e come l’hanno ammirata gli ospiti incantati della Gipsoteca di Possagno, fino alla Grande Guerra.
Senatore Gian Pietro Favero – Presidente della Fondazione Canova
Il restauro
Che l’intervento di restauro sarebbe stato particolare è stato immediatamente evidente a tutti. Intervenire su un gesso è un’operazione delicatissima. Il gesso è un materiale fragilissimo sopra il quale qualsiasi cosa si poggi, lascia segni irreversibili più o meno evidenti: umidità, irraggiamento solare, particellato atmosferico, figuriamoci il contatto con una mano curiosa, una movimentazione incauta (su carri trainati da cavalli) o addirittura il trovarsi in mezzo ad un avvenimento bellico. Il gesso della Paolina è lo specchio di tutto ciò. Niente può essere cancellato, nascosto si, ma cancellato no(in modo particolare sul gesso). L’intervento di restauro è un’operazione che serve a conservare, non a cancellare e tutti gli organi predisposti alla tutela dei Beni Culturali formano e operano proprio per affermare questo principio: si deve intervenire su un oggetto rispettando in primo luogo l’istanza conservativa ed in secondo luogo quella estetica. Con l’intervento sul modello in gesso di Possagno si è aperto un affascinante dibattito: bisognava restaurare un’opera in gesso e quindi conservarla, valorizzarla per come ci è stata consegnata, con tutti i suoi segni, con tutta la sua storia; e nel contempo rendere riconoscibile un’opera che la guerra aveva reso irriconoscibile, anonima. In poche parole ci è stato richiesto, facendo salva la conservazione e la reversibilità dell’intervento, di colmare una “lacuna” importantissima, ovvero di riprodurre la testa della Paolina, principale elemento identificativo di un’opera scultorea. Ci è stato quindi chiesto, utilizzando il metodo del “reverse engineering”, di ricostruire la testa della Paolina Borghese utilizzando come “modello di riferimento” per il rilievo, la scultura marmorea esistente nella Galleria Borghese a Roma. E’ stato quindi realizzato un“calco” senza tuttavia toccare la superficie in pietra dell’originale Paolina Bonaparte. La precisione di questo rilievo è stata altissima anche se i laser utilizzati non arrivavano, però, ad una precisione millimetrica in tutte quelle zone di sottosquadro dove il raggio non raggiunge la superficie d’appoggio per rilevare e misurare le distanze tra i punti. E’ stata realizzata una testa identica a quella della Paolina in marmo con delle imperfezioni legate a delle strumentazioni che nell’anno 2003 non potevano fare di più. Ma ciò non è importante perché la riconoscibilità dell’opera è evidente ed è ciò che si voleva. La perfezione assoluta, che avrebbe richiesto la manualità di un artigiano, avrebbe trasformato una “lacuna” da impersonale, quale deve risultare, ad artistica, cosa che a noi restauratori non viene richiesta e che anzi è contraria ad ogni principio teorico e pratico della conservazione dei Beni Culturali. Questo particolare intervento di restauro ha aperto un dibattito che non si concluderà presto e che si presenta oltremodo affascinante. Riteniamo che vada annoverato come fattore di successo dell’intervento l’aver osato dare “una” risposta e non “la” risposta ad un problema conservativo, estetico e ricostruttivo ed aver stimolato il mondo dell’arte offrendo alla mente una proposta ed un dialogo su cui crescere.
Cristiana Luberto – Presidente Koinè Conservazione Beni Culturali Scrl, Roma